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DIOCESI DI FIDENZA
Ovidio Vezzoli
Vescovo
RICOMINCIARE DALL’EVANGELO
Lettera Pastorale 2020-2021
Seconda parte

Capitolo I

Parola, liturgia e carità
L’essenza della vita ecclesiale (At 2,42)

Premessa
In questa prima parte della Lettera pastorale 2020-2021 proponiamo una riflessione, che ci permette di risalire al momento iniziale del rapporto tra annuncio dell’Evangelo, esperienza liturgica della Chiesa e carità. Queste tre dimensioni, correlate tra loro, precisano il volto missionario della co-munità cristiana, che dalla Parola ascoltata e celebrata si lascia plasmare per camminare nella carità.
Nel trattato della Mišna, Pirqè Avot I, 2 sta scritto (1):

«Šim‘on il giusto era uno degli ultimi membri della grande assemblea. Egli soleva dire: ‘Su tre colonne (‘ammudim) il mondo sta (‘amad): sulla Tôrâh (2), sul culto (3) e sulle opere di misericordia (ghemilut hasadim ) (4)».

Il detto rabbinico, che può trovare un significativo parallelo nel testo di At 2,42, ci permette di individuare tre chiavi interpretative degli elementi fondamentali della vita ecclesiale (5). Più precisamente, nel detto riportato sono riconoscibili tre esperienze (che chiamiamo colonne) che sostengono il vissuto della fede di Israele, prima, ma presenti anche nella tradizione cristiana degli inizi: Parola, liturgia e vita.

(1) A. Mello (ed.), Detti di rabbini. Pirqè Avot con i loro commenti tradizionali. Intro-duzione, traduzione e note, Qiqajon, Magnano (BI) 1993, pp. 52-53.
(2) Torah. Studio della Scrittura intesa come orientamento di vita, che rivela la volontà di Dio e permette di entrare nella conoscenza di lui. La Bibbia ebraica è composta da: Torah, Profeti, Scritti sapienziali.
(3) ‘Avodah. Più precisamente, all’inizio si tratta del culto sacrificale nel tempio, ma in seguito passa ad indicare il culto del ‘cuore’, la preghiera comunitaria nell’ascolto della Parola.
(4) Ghemilut hasadim. Da una connotazione che la designa come ‘preghiera personale’, l’espressione intende riferirsi, in seguito, alle opere di misericordia verso il prossimo.
(5) Per ulteriori approfondimenti a questo proposito può risultare di grande utilità la lettura dello studio di B. Standaert, Le tre colonne del mondo. Vademecum per il pellegrino del XXI secolo, Qiqajon, Magnano (BI) 1992.

1. Parola, liturgia e carità: unità inscindibile

Il Nuovo Testamento ci documenta il vissuto della comunità cristiana degli inizi in rapporto a Parola, liturgia e carità. Fra le molteplici testimo-nianze focalizziamo l’attenzione sul testo di At 2,42 che riassume i tratti essenziali della vita della Chiesa di Gerusalemme (6).

«(42) Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. (43) Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. (44)Tutti i credenti stavano insie-me e avevano ogni cosa in comune; (45) vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. (46) Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, (47) lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati» (At 2,42-47).

La pagina biblica costituisce il primo sommario che, nella composizione degli Atti degli apostoli, sintetizza il vissuto della comunità cristiana de-gli inizi, richiamando gli aspetti propri dell’esperienza ecclesiale. Tutto ciò è opera dello Spirito, manifestatosi nel giorno della Pentecoste (cfr. At 2,1- 11). Lo stesso Spirito, attraverso l’omelia di Pietro che interpreta l’evento accaduto (cfr. At 2,14-36), apre il cuore dei presenti, che iniziano un cammino di conversione e di fede (cfr. At 2,37-41).
Il racconto di Luca non è una descrizione ideale; egli indica le note fondamentali del vissuto della comunità, l’assenza delle quali dice il non esserci della Chiesa. I discepoli di Gerusalemme sono indicati nella loro vita non ideale, ma concreta; è registrata la loro fatica quotidiana di seque-la del Signore crocifisso e risorto che, mediante lo Spirito, li costituisce maestri e testimoni della sua risurrezione. Tale quadro è ammonimento per la comunità dei credenti perché permanga nella vigilanza davanti all’illusoria sequela di altri progetti, che inquinerebbero la sua identità di Chiesa del Signore.
Il sommario di At 2,42 sottolinea quattro realtà che caratterizzano il cammino ecclesiale nella fedeltà all’Evangelo: l’insegnamento degli apostoli e la comunione fraterna, la frazione del pane e le preghiere. Queste dimensioni vengono precisate, a loro volta, da una annotazione preliminare, che ne indica l’atteggiamento di fondo: la assiduità (v. 42a); è la condizione essenziale sia per i neofiti, che mediante i sacramenti dell’Iniziazione sono diventati la nuova piantagione della Chiesa, sia per coloro che da tempo vivono l’esperienza cristiana. Per tutti è un invito alla vigilanza e alla fedeltà.

(6) Alcuni studi che possono costituire ulteriore pista di approfondimento della tema-tica espressa dal testo di At 2,42: J. Dupont, Nuovi studi sugli Atti degli Apostoli, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1985, pp. 277-290; B. Papa, «La comunità dei credenti era un cuore e un’anima sola...», in «Parola Spirito e Vita» 11 (1985), pp. 142-157; R. Fabris, Atti degli Apostoli. Traduzione e commento, Borla, Roma 1984, pp. 111-117; G. Schneider, Gli Atti degli Apostoli. I. Testo greco, traduzione e commento, Paideia, Brescia 1985, pp. 393-403; F. Montagnini, La comunità primitiva come luogo cultuale. Nota ad At 2,42-46, in «Rivista Biblica» 35 (1987), pp. 477-484; J. Roloff, Gli Atti degli Apostoli, Paideia, Brescia 2002, pp. 93-97; J.A. Fitzmyer, Gli Atti degli Apostoli. Introduzione e commento, Queriniana, Bre-scia 2003, pp. 255-263; Ch.K. Barrett, Atti degli Apostoli. 1. Prolegomeni. Commento ai capp. 1-14, Paideia, Brescia 2003, pp. 190-206.

1.1. La catechesi degli apostoli

All’inizio dell’esperienza della comunità cristiana si colloca la predicazione apostolica relativa a Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio, crocifisso e risuscitato dai morti. Paolo lo sottolinea: non c’è fede senza predicazione dell’Evangelo (cfr. Rm 10,17). Pur distinguendosi dall’annuncio iniziale (kerygma; cfr. 1Cor 15,3-5), che ha come contenuto il mistero della passione, morte e risurrezione di Gesù secondo le Scritture, la catechesi degli apostoli è l’ascolto e l’interpretazione dei testi della Scrittura dell’AT alla luce dell’evento della pasqua di Gesù; esso diventa ormai il criterio discriminante per una lettura unitaria di tutta la storia salvifica.
Procedendo anche solo per evocazione, il rimando ad alcuni riferimenti biblici giustifica questa prospettiva di interpretazione:
– Mt 5,17: Gesù, nel discorso della montagna, dichiara di non essere venuto per abolire le Scritture, ma per portarle al loro compimento, secondo il progetto di salvezza del Padre per l’umanità tutta.
– Lc 4,16-21: nella sinagoga di Nazareth, in giorno di sabato, Gesù inaugura il suo ministero alla luce del testo profetico di Is 61,1-3, dichiarando che quella Parola si compie “oggi”.
– Lc 24,27.44: ai due discepoli di Emmaus e manifestandosi agli altri a Gerusalemme o presso il lago di Tiberiade, Gesù risorto spiega le Scritture in tutto quanto lo riguardava (Mosè, i Profeti e i Salmi).
– At 8,35: Filippo, uno dei sette incaricati dal collegio apostolico di gestire la carità nella Chiesa di Gerusalemme, mediante la spiegazione del testo profetico di Is 53,7-8 all’eunuco etiope, funzionario della regina Candace di Etiopia, di ritorno da Gerusalemme dopo un pellegrinaggio alla città santa, lo battezza introducendolo nel mistero della pasqua del Signore e nella comunione della Chiesa.
– At 13,16-41: nella sinagoga di Antiochia di Pisidia in Asia Minore, Paolo prende spunto da alcune testimonianze della Scrittura proclamate durante il culto del sabato, per annunciare la risurrezione di Gesù, compimento delle promesse fatte a Davide e alla sua discendenza.
– Ap 1,3: il libro dell’Apocalisse, fin dagli inizi, documenta l’esperienza della liturgia della Parola, primo atto della celebrazione eucaristica domenicale; il testo fa riferimento ad un lettore che proclama le profezie contenute nel libro della Parola davanti ad una comunità in ascolto: «Beato colui che legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia» (7).
Questi pochi esempi danno ragione del primato dell’ascolto della Parole Scritture nella comunità di Gerusalemme è in correlazione con la prassi di Israele, ampiamente documentata nell’AT (cfr. Es 24,3-8; Ne 8,1-11; 2Re 22-23). Nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium Papa Francesco precisa:

«La Sacra Scrittura è fonte dell’evangelizzazione. Pertanto, bisogna formarsi continuamente all’ascolto della Parola. La Chiesa non evangelizza se non si lascia continuamente evangelizzare. È indispensabile che la Parola di Dio “diventi sempre più il cuore di ogni attività ecclesiale”. La Parola di Dio ascoltata e celebrata, soprattutto nell’Eucaristia, alimenta e rafforza interiormente i cristiani e li rende capaci di un’autentica testimonianza evangelica nella vita quotidiana. Abbiamo ormai superato quella vecchia contrapposizione tra Parola e Sacramento. La Parola proclamata, viva ed efficace, prepara la recezione del Sacramento, e nel Sacramento tale Parola raggiunge la sua massima efficacia. Lo studio della Sacra Scrittura dev’essere una porta aperta a tutti i credenti. È fondamentale che la Parola rivelata fecondi radicalmente la catechesi e tutti gli sforzi per trasmettere la fede. L’evangelizzazione richiede la familiarità con la Parola di Dio e questo esige che le diocesi, le parrocchie e tutte le aggregazioni cattoliche propongano uno studio serio e perseverante della Bibbia, come pure ne promuovano la lettura orante personale e comunitaria. Noi non cerchiamo brancolando nel buio, né dobbiamo attendere che Dio ci rivolga la parola, perché realmente “Dio ha parlato, non è più il grande sconosciuto, ma ha mostrato se stesso”. Accogliamo il sublime tesoro della Parola rivelata» (8).

(7) Al riguardo cfr. F. Manzi, Discernimento profetico della storia nella liturgia e nella teologia dell’Apocalisse, in «La Scuola Cattolica» 147 (2019), pp. 7-36; Idem, «Un libro a forma di rotolo». Uno sguardo d’insieme sull’Apocalisse nel suo contesto liturgico, in «La Scuola Cattolica» 147 (2019), pp. 543-575.
(8) EG 174-175.

1.2. La comunione fraterna (9)

Questo secondo aspetto ci permette di sottolineare che la comunità cristiana non è una aggregazione di stampo sociologico, ma esperienza di fraternità, che scaturisce dall’ascolto della Parola e dalla comunione interpersonale con il Risorto; questa, a sua volta, mette in relazione con Dio e coni fratelli e precisa la condizione essenziale per la celebrazione della frazione del pane (Eucaristia).
La comunione fraterna (koinonia) non è il risultato di un atto di generosità improvvisato; non è una nota di pauperismo pietistico, conseguenza di un fascio di emozioni dalla breve durata. La comunione fraterna ecclesiale sfugge ad ogni classificazione sociologica e politica. Gli Atti degli Apostoli attestano, anzitutto, che la vendita dei beni e la loro condivisione nella comunità avviene solo laddove vi è un reale bisogno che la interpella (cfr. At 2,45; 4,34-35). In secondo luogo, accanto all’elogio per il gesto compiuto da Barnaba (cfr. At 4,36), si registra la sorte dei coniugi Anania e Saffira, che vengono puniti non per essersi rifiutati di vendere le loro proprietà, ma per aver ingannato gli apostoli e lo Spirito trattenendo per sé una parte del ricavato e dando ostentazione pubblica della loro presunta generosità (cfr. At 5,1-11).
Nello stile della comunione fraterna i credenti considerano le loro proprietà come un dono da condividere (cfr. At 4,32). È la dinamica del dono, che da Dio giunge a noi in Cristo e in lui, attraverso la nostra conversione, ai fratelli. Pertanto, una nuova condizione d’essere precisa i tratti di una obbedienza ad un antico comandamento, ma con spirito nuovo. Questa linea viene esplicitata da Paolo quando richiama la necessità di «portare i pesi gli uni degli altri» (Gal 6,2), rievocando il comandamento di Gesù (cfr. Gv 13,34-35), che indica nella libertà di amare, la differenza cristiana. Al riguardo Papa Francesco nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium ammonisce:

«Il nostro impegno non consiste esclusivamente in azioni o in programmi di promozione e assistenza; quello che lo Spirito mette in moto non è un eccesso di attivismo, ma prima di tutto un’attenzione rivolta all’altro “considerandolo come un’unica cosa con se stesso”. Questa attenzione d’amore è l’inizio di una vera preoccupazione per la sua persona e a partire da essa desidero cercare effettivamente il suo bene. Questo implica apprezzare il povero nella sua bontà propria, col suo modo di essere, con la sua cultura, con il suo modo di vivere la fede. L’amore autentico è sempre contemplativo, ci permette di servire l’altro non per necessità o vanità, ma perché è bello, al di là delle apparenze. “Dall’amore per cui a uno è gradita l’altra persona dipende il fatto che le dia qualcosa gratuitamente”. Il povero, quando è amato, “è considerato di grande valore”, e questo differenzia l’autentica opzione per i poveri da qualsiasi ideologia, da qualunque intento di utilizzare i poveri al servizio di interessi personali o politici. Solo a partire da questa vicinanza reale e cordiale possiamo accompagnarli adeguatamente nel loro cammino di liberazione. Soltanto questo renderà possibile che “i poveri si sentano, in ogni comunità cristiana, come ‘a casa loro’. Non sarebbe, questo stile, la più grande ed efficace presentazione della buona novella del Regno?”. Senza l’opzione preferenziale per i più poveri, “l’annuncio del Vangelo, che pur è la prima carità, rischia di essere incompreso o di affogare in quel mare di parole a cui l’odierna società della comunicazione quotidianamente ci espone”»(10).

(9) Cfr. l’analisi di E. Franco, La Koinonìa nella chiesa di Gerusalemme, archetipo di ogni comunità, in «Parola Spirito e Vita» 31 (1995), pp. 111-133.
(10) EG 199. La stessa sottolineatura è ripresa da Papa Francesco, Esortazione apostolica postsinodale Querida Amazonia, cit., p. 46, n. 63: «L’autentica scelta per i più poveri e dimenticati, mentre ci spinge a liberarli dalla miseria materiale e a difendere i loro diritti, implica che proponiamo ad essi l’amicizia con il Signore che li promuove e dà loro dignità. Sarebbe triste che ricevessero da noi un codice di dottrine o un imperativo morale, ma non il grande annuncio salvifico, quel grido missionario che punta al cuore e dà senso a tutto il resto. Né possiamo accontentarci di un messaggio sociale. Se diamo la nostra vita per loro, per la giustizia e la dignità che meritano, non possiamo nascondere ad essi che lo facciamo perché riconosciamo Cristo in loro e perché scopriamo l’immensa dignitàconcessa loro da Dio Padre che li ama infinitamente».

1.3. La frazione del pane (11)

La «frazione del pane» è la celebrazione eucaristica. Si tratta di quella esperienza liturgica propria del NT in obbedienza al comandamento del Signore: «Fate questo in memoria di me» (Lc 22,19). La frazione del pane può essere precisata alla luce della ritualità propria della cena pasquale ebraica. In essa, chi presiede spezza l’azzima e ne fa tanti frammenti quanti sono i componenti della famiglia. Tutti ne mangiano riconducendo in tal modo all’unità quel pane che è stato spezzato. Il fatto che tutti ne mangino produce l’effetto della comunione, ricomponendo la frammentazione del pane nell’unico corpo della comunità.
Nella prospettiva della fractio panis operata da Gesù durante la sua ultima cena, si inserisce un fatto nuovo: quel pane spezzato è detto il “suo Corpo”, la sua vita consegnata per la salvezza di tutti. I discepoli che ne condividono sono resi partecipi di questa vita consegnata quale dono del Signore Gesù. La fractio panis, da un lato, indica l’esperienza eucaristica nel suo aspetto di comunione (il pane per tutti), e dall’altro, esplicita la dimensione del dono attraverso la morte di croce (pane spezzato). Ciò diventa invito per i credenti perché facciano memoria della loro esistenza segnata dalla vita di Gesù, pane spezzato e sangue versato per tutti. La celebrazione eucaristica, pertanto, non è accessoria alla vita cristiana; ne diventa, anzi, esperienza che trasforma e unifica la sua stessa missione.
Dall’esperienza eucaristica i due di Emmaus, dopo aver ascoltato la spiegazione delle Scritture da parte di Gesù, manifestatosi loro sotto le sembianze di un pellegrino, riconoscono in lui il Risorto presente nella Chiesa (cfr. Lc 24,30-31). La stessa prassi è documentata da Luca negli Atti degli Apostoli quando racconta che Paolo, a Troade (cfr. At 20,7-20), spezza il pane per i fratelli della comunità, nel giorno di domenica. La fractio panis rivela, pertanto, lo statuto di carità del cristiano, rifuggendo da ogni ipocrisia liturgica periferica all’esistenza.

(11) A questo proposito si veda anche lo studio di X. Léon-Dufour, Condividere il pane eucaristico secondo il Nuovo Testamento, ElleDiCi, Torino 1983, pp. 29-38; E. Mazza, Il Nuovo Testamento e la Cena del Signore, EDB, Bologna 2017, pp. 49-84; R. Penna, La Cena del Signore. Dimensione storica e ideale, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2015, pp. 83-122.

1.4. Le preghiere

Le preghiere rimandano a un altro elemento cultuale legato alla vita liturgica della comunità cristiana. L’esperienza della preghiera nella Chiesa è, anzitutto, in continuità con quella di Israele. Luca in At 2,46-47 attesta che la comunità apostolica è unanime nel frequentare il tempio, soprattutto nel contesto dell’offerta dei due sacrifici al mattino e alla sera (cfr. At 3,1; 5,12). Queste preghiere sono caratterizzate dal canto dei Salmi e dall’ascolto delle Scritture, che a loro volta sono fonte di ispirazione per altre composizioni cristiane.
Tra le preghiere della comunità un posto di rilievo è riservato alla preghiera del Signore (il Padre nostro) che, a partire da Didaché VIII, 3 (II sec. d.C.) pare sostituire ormai, per tre volte al giorno, la preghiera ebraica dello Shema’. Sempre in relazione alla prassi orante della Chiesa non si può dimenticare la testimonianza degli Inni documentati da Paolo, dalle Lettere apostoliche e dal libro dell’Apocalisse, dai Cantici (es.: Magnificat, Benedictus, Nunc dimittis) e da altri testi poetici composti e pregati dalla comunità, in particolare durante la celebrazione eucaristica domenicale (12).
Tutto ciò rivela il costante riferimento alla Scrittura ascoltata, meditata, pregata e vissuta in umile obbedienza all’Evangelo.

(12)Cfr. Gv 1,1-18; Fil 2,6-11; Col 1,15-20; Rm 16,25-27; Ef 1,3-14; 5,14; 1Tm 3,16.

2. Per il discernimento

Dall’ascolto delle testimonianze evocate scaturiscono alcuni motivi di riflessione, che possono guidare, nello stile del discernimento, le scelte pastorali nelle nostre parrocchie, chiamate ad essere comunità missionarie, che non possono tacere riguardo al loro essere Chiesa del Signore (13).
Anzitutto, il primato della Parola.(14) La Parola di Dio dice fatto, accadimento (cfr. Is 55,9-11). In quanto evento storico-salvifico, la Parola incontra la vita e la cultura di un popolo (Israele, la Chiesa) determinandone il cammino. Proprio perché evento storico unico e irripetibile, la Parola esige un ascolto umile e una risposta conseguente. In questa prospettiva (15) la comunità cristiana accoglie l’evento fondatore in Gesù Cristo, Parola eterna del Padre, che ha portato l’Alleanza al suo massimo splendore consegnando se stesso per la vita del mondo.
In secondo luogo, dichiarare il primato della Parola significa precisare che soggetto primo dell’evangelizzazione non siamo noi, né le nostre strategie, ma l’azione di Cristo nella forza dello Spirito. Ogni testimonianza è subordinata al primato della fede, cioè soggetta al per primo della presenza del Signore risorto. Papa Francesco nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium sottolinea:

«Il Vangelo ci racconta che quando i primi discepoli partirono per predicare, “il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola” (Mc 16,20). Questo accade anche oggi. Siamo invitati a scoprirlo, a viverlo. Cristo risorto e glorioso è la sorgente profonda della nostra speranza, e non ci mancherà il suo aiuto per compiere la missione che Egli ci affida»(16).

In terzo luogo, un servizio autentico per l’Evangelo è proprio di chi sa suscitare attorno a sé una memoria benedicente del passato, davanti a Dio, senza nascondere errori, infedeltà, titubanze, ma anche senza misconoscere la fatica, che ha animato la Chiesa nel suo cammino alla sequela del Signore. Il testimone invita a custodire la memoria di un percorso e indica la necessità di superare la tentazione della nostalgia che deresponsabilizza, dell’indifferenza che rende cinici e dell’appiattimento spirituale che rende insipida la vita.
In quarto luogo, la liturgia, azione di Dio e della comunità ripresenta, per via rituale, l’evento storico salvifico in tutta la sua efficacia e attualità hic et nunc(17). Nel culto la comunità dell’alleanza viene costituita tempio nuovo, abitazione dell’eterno, manifestazione del modo con il quale Dio misericordioso agisce nella storia. La celebrazione del mistero pasquale(18) si fa, in primo luogo, narrazione nella fede di quanto il Signore ha operato nel Figlio Gesù Cristo. La memoria dell’evento salvifico genera, in secondo luogo, la supplica della comunità orante perché il Signore continui a manifestare la sua presenza provvidente. Infine, la supplica si fa rendimento di grazie davanti a Dio fedele al suo patto. L’intercessione, a sua volta, apre alla dimensione eterna perché ricorda costantemente ai credenti che essi sono pellegrini e forestieri su questa terra. La liturgia tiene sempre viva la verità delle realtà ultime, senza attenuare né misconoscere l’appello che sale a Dio dall’umanità. Il testimone dell’Evangelo e del suo primato, vigila attentamente, come sentinella nella notte della storia (19) indicando la venuta del Signore in ogni momento, annunciando la fine del peccato e del male, credendo nella risurrezione del Signore, che ha sconfitto la morte. Così i credenti rendono ragione della speranza che è in loro (cfr. 1Pt 3,15).
Infine, il criterio che determina l’autenticità dell’ascolto della Parola è costituito dalla vita vissuta nella carità (20). La vita dei cristiani, fatta condivisione sul modello di Cristo servo (cfr. Mc 10,45), è epifania dell’oggi nel quale il Signore è all’opera. Il dono di sé, nella sequela di Gesù, che ha consegnato se stesso per la vita del mondo, è la testimonianza di una obbedienza che nasce dall’amore (cfr. Sal 40,7-9; Eb 10,5-10) (21). Il credente racconta con la sua vita che il cristianesimo non può essere ridotto ad un esercizio di etica sociale, ad una filantropia generalizzata o ad una custodia di precetti, che nascondono una morale ipocrita. Il discepolo dichiara che l’impegno nel mondo e per gli altri non esaurisce l’identità dell’esperienza cristiana. La vera diakonía dei cristiani si traduce nella fedeltà alla terra, alla storia e all’umano, facendosi pellegrini in ricerca senza ritenersi migliori degli altri. Il testimone dell’Evangelo favorisce il dialogo nella comunione, ma senza attrarre a sé nessuno; incontra l’altro, ma perché questi si volga al Signore della vita; custodisce la Parola come dono prezioso in un fragile vaso di argilla (cfr. 2Cor 4,7), che è la sua vita, ma perché sia a tutti visibile l’agire della misericordia del Signore e perché sia concesso a tutti di rallegrarsene.

(13) Ulteriori sottolineature si possono utilmente ravvisare nella riflessione di E. Bianchi, Come evangelizzare oggi, Qiqajon, Magnano (BI) 1996 (Testi di meditazione, 74); Idem, Parola, liturgia e vita. Una testimonianza dal mondo monastico, in E. Manicardi – F. Ruggiero (ed.), Liturgia ed evangelizzazione nell’epoca dei Padri e nella Chiesa del Vaticano II. Studi in onore di E. Lodi, EDB, Bologna 1996, pp. 337-349.
(14) Cfr. in relazione a ciò quanto espresso nella Lettera apostolica di Giovanni Paolo II, Vigesimus quintus annus, 4 dicembre 1988, n. 8.
(15) Costituzione Sacrosanctum Concilium (= SC), nn. 102-111, in E. Lora (ed.), Enchiridion Vaticanum. 1. Documenti del Concilio Vaticano II. Testo ufficiale, EDB, Bologna 1985, nn. 183-200, pp. 76-83 (= EV 1).
(16) EG 275.
(17) SC 7 (EV 1, nn. 9-12); 24 (EV 1, n. 40); 33 (EV 1, nn. 52-54); 35,1-2 (EV 1, nn. 56- 58); 48 (EV 1, nn. 84-85); 51 (EV 1, n. 88).
(18) Cfr. Vigesimus quintus annus, n. 6.
(19)Si veda in proposito l’intervento di G. Dossetti, «Sentinella, quanto resta della notte?», in Piccola Famiglia dell’Annunziata (ed.), La parola e il silenzio. Discorsi e scritti 1986 – 1995, Il Mulino, Bologna 1997, pp. 299-311.
(20) Vigesimus quintus annus, nn. 9; 16-17; 22.
(21) Si vedano a tal proposito i seguenti riferimenti al senso di “partecipazione attiva” secondo Sacrosanctum concilium: SC 11 (EV 1, n. 18); 14 (EV 1, nn. 23-25); 19 (EV 1, n. 30); 21 (EV 1, nn. 32-34); 26-27 (EV 1, nn. 42-45); 30-31 (EV 1, nn. 49-50).

3. Per il confronto

Quali conseguenze scaturiscono circa il rapporto Parola, liturgia e carità?
Una deriva della prassi pastorale potrebbe essere quella di enfatizzare in modo indiscriminato uno degli elementi fondamentali espressi. L’assolutizzazione dei singoli aspetti porta la comunità a insabbiarsi nelle secche di una visione intellettualistica (biblicismo), sociologica (assistenzialismo), liturgica (ritualismo) e intimistica (devozionismo) della vita cristiana. Solo l’armonia di tutti e quattro gli elementi (Parola, comunione fraterna, eucaristia e preghiere) contribuisce alla crescita ben compaginata dell’edificio ecclesiale.
Rispetto a quanto precisato ci chiediamo:

3.1. Come intendiamo agire d’ora innanzi per orientare la nostra vita, in comunione con la Chiesa, secondo la triplice priorità: ascolto della Parola, celebrazione liturgica del mistero di Cristo, azione nella carità?
3.2. Che cosa è possibile fare nell’ambito delle nostre comunità parrocchiali, della nostra vita professionale e sociale alla luce del rapporto tra Parola, liturgia e carità?
3.3. Come è possibile rivisitare il senso della propria appartenenza alla Chiesa?
3.4. Come vincere la tentazione di esaurire la vita cristiana mettendo in evidenza in forma esclusiva solo la Parola, oppure solo la liturgia o la sola carità?

Parola, liturgia e carità sono un’unica via sulla quale è necessario camminare con un cuore indiviso (cfr. Sal 86,11) e nell’obbedienza all’unico Signore. La via migliore di tutte, alla ricerca della quale l’apostolo Paolo invita le comunità cristiane, è quella dell’amore, che il Cristo crocifisso e risorto ha incarnato nella sua vita e che la Chiesa vive nella storia, perché sia in tutto conforme al suo progetto di salvezza (cfr. 1Cor 12,31b-14,1).
Il Vescovo di Rottenburg-Stuttgart, Walter Kasper, nella lettera pastorale ai fedeli della sua diocesi, per l’anno 1989 (La trasmissione della fede: questione vitale per la Chiesa del nostro paese), scrive così:

«La nuova evangelizzazione è, prima di tutto e soprattutto, un impegno spirituale.
E perciò fondamentale che: noi stessi ci lasciamo interpellare in modo sempre nuovo dall’Evangelo, che noi stessi viviamo più decisamente e con maggior gioia secondo lo spirito dell’Evangelo.
Se siamo sinceri, dobbiamo riconoscere che siamo noi stessi, spesso, di ostacolo all’Evangelo e alla sua diffusione.
Senza la nostra conversione personale, tutte le riforme, anche le più necessarie e benintenzionate, vanno a cadere e, senza il nostro rinnovamento personale, esse finiscono in un vuoto attivismo. Senza l’ascolto della Parola e della volontà di Dio, senza lo spirito di adorazione e senza la preghiera continua, non ci sarà rinnovamento della Chiesa né nuova evangelizzazione dell’Europa»(22).

Preghiamo

«Imploriamo il Signore,
perché si degni lui stesso di rivelarci la sapienza di quanto leggiamo,
di indicarci non solo con l’intelligenza,
ma anche con le opere
in quale modo dobbiamo mettere in pratica la Parola,
affinché ci sia concesso di conseguire,
una volta illuminati dalla parola dello Spirito Santo,
la grazia spirituale,
mediante Cristo Gesù Signore nostro,
al quale è la gloria e il regno per i secoli in eterno.
Amen».

(Origene, III sec.)

(22) Testimonianza citata da E. Bianchi, Come evangelizzare oggi, cit., p. 9.

One Comment

  1. Massimiliano Grossi 21/03/2021 at 16:18 - Reply

    – “Parola, liturgia e carità: unità inscindibile”
    – “La comunione fraterna
    non è il risultato di un atto di generosità improvvisato
    non è una aggregazione di stampo sociologico,
    ma un’esperienza.”

    Dagli atti degli Apostoli leggiamo:
    – “Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune;
    chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno.”
    – “Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto e
    lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno.”

    – “La comunione fraterna ecclesiale sfugge ad ogni classificazione sociologica e politica”.

    Sono frasi che aprono il cuore, ripuliscono gli occhi, risollevano e ridanno dignità.
    Allora perché, oggi, non vivo concretamente così?
    E’ possibile vivere così o è un’utopia? Un bel sogno che poi non può trovare riscontro nella realtà? E’ possibile avere fratelli e sorelle? Una presenza sincera. E’ possibile condividere un cammino seguendo? E’ possibile essere un aiuto vicendevole e concreto nel cammino o sono solo discorsi per ingenui?
    Forse prima ancora di quello che posso o non posso fare, si tratta di un atteggiamento di un modo di porsi, una questione di umiltà e soprattutto di fede. Fiducia che nulla in ogni caso andrà sprecato.
    Che fine fa il seme della parola seminato nel mio cuore?
    E’ come quello seminato nelle spine? Cioè sono come colui che ascolta la parola, ma la preoccupazione del mondo e l’inganno della ricchezza la soffocano ed essa non dà frutto?
    Come faccio a far si che ciò non avvenga? Da solo però non posso riuscirci, ho bisogno della comunità fraterna.
    Come procedere? Un cammino di fede lineare è sufficiente o serve una discontinuità per fare un salto? Una decisione radicale? Una caduta da cavallo?

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