XII Domenica Tempo ordinario – Anno B
P. Ermes Ronchi
Dio ci salva non “dalla” ma “nella” tempesta
In quel tempo, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (…)
Le piccole barche sono al sicuro, ormeggiate nel porto, ma non è per questo che sono state costruite. Sono fatte per navigare, e anche per affrontare burrasche. Noi siamo naviganti su fragili legni nel mare della vita, su gusci di noci. Eppure ci raggiunge la parola di Gesù: passiamo all’altra riva, andiamo oltre. C’è un oltre che abita le cose. Non è nel segno del Vangelo restarsene al sicuro, attraccati alla banchina o fermi all’ancora. Il nostro posto non è nei successi, ma in una barca in mare, mare aperto, dove prima o poi durante la navigazione della vita verranno acque agitate e vento contrario. Vera pedagogia è quella di Gesù: trasmettere non paura la passione per il mare aperto, il desiderio di navigare avanti, la gioia del mare alto e infinito.
Nella breve navigazione Gesù si addormenta, sfinito. Io non so perché si alzano tempeste nella vita. Non lo sanno Luca, Marco, Matteo: raccontano tempeste sempre uguali e tutte senza perché. Vorrei anch’io un cielo sempre sereno e luci chiare a indicare la navigazione, un porto sicuro e vicino. Ma intanto la barca, simbolo di me, della mia vita fragile, della grande comunità, intanto resiste. E non per il morire del vento, non perché finiscono i problemi, ma per il miracolo umile dei rematori che non abbandonano i remi, che sostengono ciascuno la speranza dell’altro.
A noi invece pare di essere abbandonati appena si alza il vento di una malattia, di una crisi familiare, di relazioni che dolgono, di questa pandemia. Ci sentiamo naufraghi in una storia dove Dio sembra dormire, anziché intervenire subito, ai primi segni della fatica, al primo morso della paura, appena il dolore ci artiglia come un predatore
Allora ecco il grido: Non ti importa che moriamo? Eloquenza dei gesti: si destò, minacciò il vento e il mare…, perché sì, mi importa di voi. Mi importano i passeri del cielo e voi valete più di molti passeri; mi importano i gigli del campo e voi siete più belli di tutti i fiori del mondo.
Mi importi al punto che ti ho contato i capelli in capo e tutta la paura che porti nel cuore. E sono con te, a farmi argine al buio, luce nel riflesso più profondo delle tue lacrime. Nelle mie notti Dio è con me; intreccia il suo respiro con il mio, e «non mi salva “dalla” tempesta ma “nella” tempesta. Non protegge dal dolore ma nel dolore. Non salva il Figlio dalla croce ma nella croce» (D. Bonhoeffer). Lui è con noi, a salvarci da tutti i nostri naufragi, è qui da prima del miracolo: è nelle braccia forti degli uomini sui remi; nella presa salda del timoniere; nelle mani che svuotano il fondo della barca. Lui è in tutti coloro che, insieme, compiono i gesti esatti e semplici che proteggono la vita.
(Letture: Giobbe 38, 1.8-11; Salmo 106; Seconda Lettera ai Corinzi 5, 14-17; Marco 4, 35-41)