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DIOCESI DI FIDENZA
Ovidio Vezzoli
Vescovo
RICOMINCIARE DALL’EVANGELO
Lettera Pastorale 2020-2021
Terza parte

Capitolo II

Viva ed efficace è la Parola di Dio
L’operosità della Parola (Eb 4,12-13)

Premessa
Perché la Parola di Dio al centro della vita e della missione della Chiesa?

Diversi fattori hanno favorito un ritorno all’ascolto e alla familiarità con la parola di Dio nella vita della Chiesa; ciò è avvenuto con una intensità forse mai riscontrata in precedenza nella storia del cristianesimo. Basti pensare alla novità rappresentata dalla Costituzione Dogmatica Dei Verbum (18 novembre 1965) all’indomani del Concilio Vaticano II. Raccogliendo positivamente le istanze della Costituzione sulla liturgia Sacrosanctum Concilium, che auspicava per i fedeli un accesso sempre più ampio alla ricchezza dei thesauri biblici, la Dei Verbum ha avviato un processo illuminante di ascolto della parola di Dio, meditata, studiata e pregata per essere accolta con la vita. Non meno importante si è rivelata la pubblicazione dei Lezionari biblici, che hanno permesso un ascolto quotidiano e assiduo della Parola nel contesto eucaristico e sacramentale in genere.
Non si può disattendere, al contempo, l’apporto offerto dai Lineamenta del Sinodo dei Vescovi dell’ottobre 2008, interamente dedicato alla «Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa». Le conclusioni dei lavori sono poi confluite nell’Esortazione Apostolica postsinodale di Benedetto XVI, Verbum Domini (30 novembre 2010). Significativa è, poi, la pubblicazione dell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium (24 novembre 2013) di papa Francesco, che ha ripreso a sua volta le intuizioni profetiche e pastorali di Paolo VI già espresse nell’Esortazione apostolica Gaudete in Domino (9 maggio 1975) e nella Evangelii Nuntiandi (8 dicembre 1975). Viene ribadita, per la Chiesa, la necessità di non rinunciare all’annuncio dell’Evangelo all’umanità mediante l’opera efficace della parola di Dio, che apre la strada della predicazione. Nella Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, papa Francesco rievocando la Lettera agli Ebrei 4,12 osserva:
«Prima di preparare concretamente quello che uno dirà nella predicazione, deve accettare di essere ferito per primo da quella Parola che ferirà gli altri, perché è una Parola viva ed efficace che come una spada “penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discernere i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb 4,12). Questo riveste un’importanza pastorale. Anche in quest’epoca la gente preferisce ascoltare i testimoni: “Ha sete di autenticità […], reclama evangelizzatori che gli parlino di un Dio che essi conoscono e che sia a loro famigliare, come se vedessero l’invisibile”»(1).
Un altro evento caratterizza il cammino della Chiesa nella sua attenzione al primato della parola di Dio, quale fondamento che definisce la sua identità, orienta la sua missione e suggerisce le scelte da attuare. Il 30 settembre 2019, nella memoria liturgica di S. Girolamo, all’inizio del 1600° anniversario della morte dell’esegeta e Padre della Chiesa, Papa Francesco ha istituito la Domenica della Parola di Dio (III Domenica del Tempo ordinario) con la Lettera apostolica, in forma di Motu proprio, «Aperuit illis»(2). Nel testo, Papa Francesco richiama il fatto che la Bibbia non può es-sere patrimonio soltanto di qualcuno; al contrario essa è parola di Dio, annuncio di salvezza rivolto all’intera umanità (cfr. Eb 1,1-2). Compito peculiare dei ministri, al riguardo, è quello di rendere la Parola accessibile e prossima a tutti. A tal proposito Papa Francesco sottolinea:

«I parroci potranno trovare le forme per la consegna della Bibbia, o di un suo libro, a tutta l’assemblea in modo da far emergere l’importanza di continuare nella vita quotidiana la lettura, l’approfondimento e la preghiera con la Sacra Scrittura, con un particolare riferimento alla lectio divina»(3).

Nel Prologo al commento del testo profetico di Isaia, proprio per ribadire quanto sia necessario per la comunità cristiana attingere costantemente dalla Bibbia il suo orientamento nel mondo, S. Girolamo scriveva:

«Adempio al mio dovere, ubbidendo al comando di Cristo: “Scrutate le Scritture” (Gv 5,39) e “Cercate e troverete” (Mt 7,7) per non sentirmi dire come ai Giudei: “Voi vi ingannate, non conoscendo né le Scritture né la potenza di Dio” (Mt 22,29). Se, infatti, al dire dell’apostolo Paolo, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio, colui che non conosce le Scritture, non conosce la potenza di Dio, né la sua sapienza. Ignorare le Scritture significa ignorare Cristo […]. Ma nessuno creda che io voglia esaurire in poche parole l’argomento di questo libro della Scrittura che contiene tutti i misteri del Signore»(4).

L’esortazione a ritornare alle fonti della Parola, vera sorgente di evangelizzazione, è fondata sul testo di Eb 4,12-13, non solo per i destinatari primi dello scritto omiletico, ma ancora oggi per le nostre comunità cristiane. Ripercorriamo i tratti essenziali della pagina biblica, per riconoscere in essa le ragioni fondamentali che sostengono il nostro annuncio e la nostra umile testimonianza nella Chiesa, davanti al mondo.

(1) EG 150.
(2) Papa Francesco, Lettera apostolica in forma di Motu proprio con la quale viene istituita la Domenica della Parola di Dio, Aperuit illis, LEV, Città del Vaticano 2019.
(3) Ibidem, n. 3.
(4) Girolamo, Prologo al commento del Profeta Isaia (PL 24,17).

1. In ascolto della Parola

L’arte del discernimento, mediante il quale il discepolo ri-conosce, interpreta e sceglie ciò che è secondo la volontà di Dio, alla luce della sua Parola, è ben evidenziata in questo breve testo della Lettera agli Ebrei. Il fascino che la pagina biblica suscita nell’esperienza spirituale dei credenti è eloquente, perché rimanda al primato della parola di Dio nella vita ecclesiale.

«Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore. 13Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli oc-chi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto» (Eb 4,12-13).

Il testo biblico costituisce un ammonimento rivolto all’assemblea crstiana affinché non sottovaluti l’importanza della Parola che ha ascoltato grazie alla proclamazione del lettore durante la liturgia eucaristica(5). Di questa parola di Dio, l’omileta si preoccupa di richiamarne l’identità e l’efficacia, che si manifesta a chi l’accoglie mediante azioni e non concetti speculativi. La parola di Dio è azione, non statica idea su cui poter discettare. La Parola è evento salvifico come precisa il termine ebraico dabar (fatto, accadimento) e che il greco logos non sempre è in grado di esprimere compiutamente.
Sul versante letterario i vv. 12-13 si presentano come un’unica frase articolata in otto elementi con un solo verbo principale (v. 13). Alla Parola (ho logos), che è il soggetto dell’intera frase, sono riferite cinque qualità fondamentali, di cui le prime quattro risultano abbinate:

vivente / efficace
tagliente / penetrante

mentre la quinta rimane isolata: giudicante.

Questo costituisce come un ponte di collegamento con la seconda parte in cui è descritta la rivelazione di Dio all’umanità mediante la sua Parola.
L’esordio del testo è affidato alla particella logico-consequenziale «dunque» (gar) che permette un aggancio tematico con quanto espresso in precedenza, e in particolare con il v. 11: «Affrettiamoci, dunque, ad entrare in quel riposo, perché nessuno cada nello stesso tipo di disobbedienza». Il riferimento immediato è alla comunità di Israele, generazione del deserto, che risultò incapace di discernere l’oggi di Dio, l’oggi dell’ascolto, quale condizione necessaria per entrare nella terra di benedizione, promessa mai revocata ai Padri. La generazione del deserto, che ha sperimentato la fatica del cammino è stata vittima della sua stessa ingordigia, manifestatasi nella mormorazione, nella contestazione (Massa e Meriba) e nella ribellione contro Dio e contro Mosè. E stata una generazione perfida, incapace di discernere l’oggi dell’ascolto, preferendo l’illusione effimera della sequela di falsi idoli, alla verità della Parola, che la chiamava a camminare nella conversione e nella libertà.
Proprio a partire da questo antecedente, lontano nel tempo, ma ancora vivo nel cuore di chi ascolta la Scrittura, l’omileta ammonisce la comunità cristiana a vigilare sulla tentazione di pensare che questo oggi non la riguardi. Sarebbe un errore fatale perché comporterebbe l’esclusione da quel riposo nella terra della promessa, che Dio ha riservato per i suoi servi. Pertanto, l’attenzione è richiamata sull’attendibilità della Parola: nessuno cada nella stoltezza di ritenere che tutto ciò non lo riguardi o che riguardi sempre qualcun altro.
Quali, dunque, le caratteristiche della Parola?

1.1. Vivente ed efficace (v. 12a)

Anzitutto, la Parola è vivente (zon). Il participio va conservato in quanto esprime una realtà sempre in movimento, dinamicamente in atto nel presente, non relegata al ricordo di un passato lontano. La caratteristica di vivente applicata alla Parola esplicita il senso di opposizione a tutto ciò che è morto, statico, incapace di agire, di intervenire e di liberare. La Parola, al contrario, è vivente in quanto è capace di salvare in modo efficace. Rispondendo ai polemici sadducei Gesù lo ha ribadito esplicitamente: «Dio non è Dio dei morti, ma dei viventi. E il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe» (cfr. Lc 20,37-38).
Il secondo termine impiegato nel testo (efficace – energes) esplicita l’operatività della Parola, che si può sperimentare. Accanto al predicato zon (vivente) il termine «efficace» sintetizza l’opera della Parola, che ha dischiuso i cuori di coloro che l’hanno ascoltata e le hanno fatto posto. Un esempio eloquente è costituito da At 2,37. Dopo l’ascolto dell’intervento di Pietro nel giorno di Pentecoste a Gerusalemme, volto a precisare il senso ultimo di quanto è accaduto, la folla si sentì «trafiggere il cuore [dalla Parola]» e chiesero all’apostolo e agli altri: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?».

1.2. Tagliente / penetrante (v. 12b-c)

Altre due caratteristiche precisano l’efficacia della Parola mediante l’utilizzo dell’immagine della spada di cui si afferma che è a doppio taglio (distomon), con una capacità di andare in profondità nell’animo duro (cfr. Dt 13, 13-16; Pr 5,4). In questa prospettiva si intende richiamare la dimensione del giudizio che la Parola mette in atto nel cuore umano. La Parola opera la verità laddove solo lo sguardo di Dio può giungere con efficacia.
Sempre rimanendo su questa lunghezza d’onda, l’espressione conclude la prima parte relativa alle caratteristiche della Parola insistendo sull’elemento del discernimento e affermando che la Parola è «capace di giudicare» (kritikos) le considerazioni e i pensieri del cuore (v. 12c). In tal senso, affermare che la Parola è capace di giudizio non significa attribuirle la connotazione negativa, propria di chi opera un’azione di spionaggio e di invadenza nell’intimità della persona. Al contrario, ogni giudizio operato dalla Parola ci ricorda che il tempo, l’oggi che viviamo non è irrilevante, né casuale. In tale misura il giudizio della Parola è una buona notizia in quanto ci rammenta la responsabilità che ci compete e che ci chiama alla conversione, sottolineando che nessun bene da noi compiuto andrà perduto. Se il giudizio è chiamata alla responsabilità in questo oggi, esso rappresenta anche una grande promessa che chiama a una speranza più grande, oltre le miopi visioni umane. Il giudizio messo in atto dalla Parola nelle nostre vite è esigenza di risanamento e bisogno di verità per poter guarire(6). Se il Signore nella sua Parola ci chiama alla verità non è per investirci della sua vendetta né per alimentare in noi il senso di colpa, ma perché desidera la nostra guarigione e che sia salvaguardata la nostra dignità di figli: «Non sono venuto per giudicare il mondo, ma per salvare il mondo» (Gv 3,17; 12,47). Quando la Parola raggiunge il discepolo come spada penetrante e tagliente, operando un giudizio, lo conduce a deporre le maschere che occultano la verità della sua persona. In tal senso, il giudizio è esperienza di purificazione, è verità del proprio peccato e percezione di quella misura dell’amore che supera qualsiasi nostra aspettativa e capacità. Il giudizio operato dalla Parola è come il pungolo dell’amore che ci fa prendere coscienza di non avere amato abbastanza. Isacco il Siro invita a riflettere:

«Io dico che coloro che soffrono nella Geenna sono tormentati dalle sofferenze dell’amore. Sono dure e amare le sofferenze provocate dall’amore, cioè laddove si è sentito di aver mancato all’amore, più dei tormenti provocati dal timore. La sofferenza che grida nel cuore per la mancanza di amore è forte più di qualsiasi sofferenza che ci possa essere»(7).

Dunque, la Parola giudica sì, ma è profezia di una vita risanata mediante la fornace della verità, piuttosto che dichiarare una distruzione irreparabile.

1.3. A lui dovremo rendere conto (v. 13)

Quel Dio che ha creato l’uomo, l’adam tratto dalla terra e l’ha reso essere vivente, capace di relazionale, in dialogo mediante la sua Parola, lo richiama con assiduità a non smarrire la bellezza creaturale, che ha posto in lui come dono.

«Egli sa di che siamo plasmati,
ricorda che noi siamo polvere.
Come l’erba sono i giorni dell’uomo,
come il fiore del campo così egli fiorisce.
Lo investe il vento e più non esiste
e il suo posto non lo riconosce.
Ma la grazia del Signore è da sempre,
dura in eterno per quanti lo temono» (Sal 103,14-17).

L’omileta della Lettera agli Ebrei invita a considerare attentamente quella Parola che ha impedito a qualcuno della generazione del deserto di entrare in quell’oggi del riposo promesso. I discepoli dell’Evangelo, nella lo-ro nuova condizione, sono posti di fronte alla possibilità di entrare in questo riposo dell’oggi di Dio; essi, però, devono operare un discernimento attento di questo tempo e della Parola che ascoltano; è Parola che annuncia il segno del tempo, Gesù crocifisso e risorto logos di Dio eterno; è Parola che si è fatta visibile e prossima, perché quanti l’accolgono possano trovare verità e salvezza; ma per coloro che sottovalutano la sua efficacia essa diviene giudizio inatteso di esclusione dal riposo nell’oggi di Dio. Dunque, è necessario vigilare sulla superficialità e sull’arrogante presunzione di essere già entrati in questa pace o di avere già esaurito la ricchezza della Parola.

(5) Per un approfondimento ulteriore del testo biblico di Eb 4,12-13 cfr.: A. Vanhoye, L’epistola agli Ebrei. «Un sacerdote diverso», EDB, Bologna 2010, pp. 101-104; A. Strobel, La lettera agli Ebrei, Paideia, Brescia 1997, pp. 70-73; C. Marcheselli-Casale, Lettera agli Ebrei. Nuova versione, traduzione e commento, Paoline, Milano 2005, pp. 229-233.
(6) Cfr. le riflessioni di S. Chialà, Discernimento degli uomini e giudizio di Dio, Morcelliana, Brescia 2018, pp. 33-34; 97-108.
(7) Isacco di Ninive, Un’umile speranza. Antologia, Qiqajon, Magnano (BI) 1999, pp. 216-217.

2. Per il discernimento

Il confronto assiduo e quotidiano con le Scritture è il luogo nel quale è possibile avviare un discernimento del segno del tempo secondo Dio e la sua volontà unica. La frequentazione della Parola, personale e nella Chiesa, è decisiva per la vita di fede del discepolo; non è una moda legata al frattempo di qualche pontificato o di qualche evento ecclesiale. La Parola è capace di ispirare l’agire del credente che ascolta, indicandogli criteri di discernimento nello scegliere. Nulla potrà mai sostituirsi alla fonte viva e inesauribile della Scrittura, accolta nella Chiesa come parola di Dio rivelata (8).
Efrem il Siro, scrivendo al suo corrispondente Publio lo esorta:

«Fai bene a non lasciar cadere dalle tue mani il lucido specchio del santo Vangelo del tuo Signore. Esso, infatti, riflette l’immagine di tutti coloro che vi si guardano e rivela la somiglianza di tutti coloro che in essi si scrutano» (9).

Per verificare il nostro modo di ascoltare e vivere la Parola ci può aiutare la parabola del seminatore (cfr. Mc 4,1-20) (10), che evidenzia modalità diverse di ascolto e di accoglienza della buona notizia.
Chi ascolta non può prescindere, anzitutto, dalla sua sensibilità personale. È il livello per il quale si procede solo per sensazioni di piacere dispiacere, lasciando ampio spazio a reazioni immediate, a volte sofferenti o disturbate. Questo livello esprime un’accoglienza della Parola segnata dalla paura, dal pregiudizio e si esprime con una reazione di difesa. La sensibilità personale, è indubbio, può diventare trasparente conduzione del messaggio della Parola, ma anche elemento di disturbo. In tal caso potrà verificarsi un ascolto euforico ed effervescente oppure anestetizzato e intorpidito rispetto a tutto quanto ci interpella. Le varie reazioni che si possono registrare variano, in tal senso, tra l’attrattiva, la simpatia e il fastidio, la chiusura, il rifiuto e l’apatia. A questo livello si verifica un ascolto superficiale ed egocentrico, che potrebbe anche esprimersi in qualche scelta immediata, ma destinata a non permanere.
In secondo luogo, mentre ascolta la Parola il credente deve fare i conti con la tentazione dell’abitudine. È l’atteggiamento per il quale si ritiene di conoscere già la Scrittura, di possederne ormai le chiavi decisive, frutto di una sua lunga frequentazione. Si dichiara il testo come già conosciuto; si sa già come va a finire la storia di quella parabola, di quel miracolo o di quell’incontro; perfino il suo messaggio è scontato. Ci si costruisce uno schema di comprensione pregiudiziale. Siamo davanti a una griglia di ascolto ripetitivo, intellettualistico e impermeabile agli strati decisionali profondi. In tale situazione la Parola scorre senza lasciare traccia (cfr. Is 29,13; Mc 7,6-7).
In terzo luogo, nell’ascolto il credente è sollecitato nondimeno dalle sue attese personali. In questa situazione si verifica un ascolto funzionale, più o meno riduttivo di sé. Ognuno di noi, quando ascolta la Parola, porta con sé delle preoccupazioni, problemi legati all’esistenza, progetti che intende realizzare. Tutto questo suscita attese verso di sé e verso gli altri in vista del proprio ideale da raggiungere, pena il sentirsi in colpa o fuori posto. La Parola, in questo caso, è soggetta ad operazioni di glosse e a interpretazioni minimizzanti, operando una selezione dei suoi contenuti.
Infine, il nucleo della scelta. Si tratta del livello più profondo; è il luogo delle autentiche decisioni della vita. Si tratta di un ascolto nella libertà e nell’amore nei confronti dell’altro. A questo livello ci accogliamo così come siamo, con i nostri limiti e le nostre ricchezze, con le nostre resistenze e le nostre doti, ma disponibili all’ascolto e all’incontro; siamo oltre il dovere, l’abitudine, la paura o la occasionalità. Qui è possibile un ascolto aperto, trasformante la vita secondo la sequela del Signore e la condivisione con l’altro.
Ora, ci si può domandare: che cosa favorisce l’uno o l’altro tipo di ascolto?
È fondamentale, anzitutto, motivare nuovamente il ‘perché’ e il ‘come’ si ascolta la Parola, prima ancora del ‘che cosa’, ossia del suo contenuto dottrinale e del messaggio morale. È necessario curare il ‘come’ dell’ascolto e vigilare sulle proprie predisposizioni, perché non basta presupporle o averle presenti come desiderio. A ciò si giunge vigilando su se stessi, rifuggendo da un intellettualismo a tutti i costi, che persegue solo un conoscere nozionistico, educandosi alla libertà interiore attraverso il silenzio e la preghiera, che devono precedere sempre l’ascolto della Parola (11).
È necessario, inoltre, che ci siano condizioni celebrative che favorisca-no un ascolto spirituale trasformante. È saggio educarsi ad un atteggiamento di scoperta, di meraviglia che procede oltre lo scontato o le mezze verità, per poter discernere chi si è veramente, con i propri limiti e le proprie potenzialità, e per incontrare l’Altro come maestro unico che guida alla via della vita (cfr. Gv 14,6) e alla verità tutta intera (cfr. Gv 16,13). Infine, è solo in forza dello Spirito invocato con umiltà, che avviene la tra-sformante azione della Parola ascoltata e celebrata; è lo Spirito che ci fa passare da Cristo, parola di Dio fatta carne, alla parola di Dio fatta dono per i fratelli.

(8) Costituzione dogmatica Dei Verbum 21: «La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli. Insieme con la sacra Tradizione, ha sempre considerato e considera le divine Scritture come la regola suprema della propria fede; esse infatti, ispirate come sono da Dio e redatte una volta per sempre, comunicano immutabilmente la parola di Dio stesso e fanno risuonare nelle parole dei profeti e degli apostoli la voce dello Spirito Santo. È necessario dunque che la predicazione ecclesiastica, come la stessa religione cristiana, sia nutrita e regolata dalla sacra Scrittura. Nei libri sacri, infatti, il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con essi; nella parola di Dio poi è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa la forza della loro fede, il nutrimento dell’anima, la sorgente pura e perenne della vita spirituale. Perciò si deve riferire per eccellenza alla sacra Scrittura ciò che è stato detto: “viva ed efficace è la parola di Dio” (Eb 4,12), “che ha il potere di edificare e dare l’eredità con tutti i santificati” (At 20,32; cfr. 1 Ts 2,13») (EV 1, n. 904).
(9) S. Chialà (ed.), La perla dai molti riflessi. La lettura della Scrittura nei padri siriaci, Qiqajon, Magnano (BI) 2014, p. 59.
(10) Su questo versante cogliamo interessanti puntualizzazioni nello studio di G. Sovernigo, L’efficacia della Parola di Dio celebrata. Aspetti personali, in R. Cecolin (ed.), Dall’esegesi all’ermeneutica attraverso la celebrazione. Bibbia e Liturgia. I, Messaggero-Abbazia di S. Giustina, Padova, 1984, pp. 295-304.
(11) Un felice contributo alla riflessione, al riguardo, è proposto da E. Bianchi, Ascoltare la Parola. Bibbia e Spirito: la “lectio divina” nella chiesa, Qiqajon, Magnano (BI) 2008.

3. Per il confronto

È decisivo vigilare e discernere sugli atteggiamenti e le tentazioni che ci accompagnano nell’ascolto delle Scritture.

3.1. Perché si constata una contrapposizione tra la Parola proclamata e gli effetti di non trasformazione nella vita di coloro che partecipano all’azione liturgica? Qual è la causa di questa vanificazione?
3.2. Con quale atteggiamento ci disponiamo all’ascolto della Parola nella assemblea liturgica?
3.3. Quale assiduità nell’ascolto, nella meditazione e nella preghiera personale a partire dalla Parola?
3.4. Quando medito la Parola sono più preoccupato di leggere il commento, di esaudire la mia curiosità o di ascoltare il Signore che mi parla attraverso la sua Parola, affinché la mia vita sia conformata alla sua nella carità?
3.5. Prendiamo coscienza che solo l’umiltà nell’ascolto ci libera dalla tentazione di una salvaguardia inutile di se stessi davanti alla Parola?

Preghiamo

«Ti supplico, o Padre:
manda il tuo Spirito Santo nelle nostre vite
e donaci di comprendere le divine Scritture da lui ispirate
e concedici di interpretarle con purezza e rettamente,
perché tutti i fedeli qui radunati
ne raccolgano i frutti
mediante il tuo Figlio unico Gesù Cristo,
nello Spirito Santo;
per Lui ti siano rese gloria e potenza,
ora e nei secoli dei secoli.
Amen».
(Eucologhion
di Serapione di Tmuis, IV sec.)

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