Dal libro “il primo cinquantennio” di Padre Roberto Lecchini

Come passa veloce il tempo! Mi sembra che le sensazioni che provo in me scrivendo si riferiscano a fatti e avvenimenti di cinque o sei mesi or sono, eppure ritorniamo al 24 settembre 1944.
Sono le dieci del mattino. Tanto sole e tanto silenzio nelle case e per le vie di Salsomaggiore. Ma non potrà durare a lungo.
Sento battere alla porta del mio ufficio parrocchiale. Mentre continuo a scrivere fissando le mie carte, rispondo a voce alta e in tono allegro: «avanti, avanti!». Sono due ufficiali tedeschi. Con disinvoltura più apparente che reale, ma anche senza troppa preoccupazione a cui non mi sembra aver dato luogo, li invito a sedersi.

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Ma essi, come se non avessero nemmeno ascoltato il mio invito, rimangono in piedi e il più anziano mi dice con calma e con voce piuttosto disinvolta: «Lei è Don Roberto Lecchini Parroco di Salsomaggiore?». Gli rispondo:
«Certamente, per servirla, sono Parroco sì, ma non di tutto Salsomaggiore, bensì di S. Antonio in Salsomaggiore. A Salsomaggiore le parrocchie sono due e due i Parroci dipendenti rispettivamente uno dal Vescovo di Piacenza e l’altro dal Vescovo di Fidenza, che è il mio Superiore immediato, un sant’uomo». Mi sembra che il Capitano (lo chiamo così ignorando la gerarchia dell’esercito tedesco) non dia molta importanza alle mie parole. Ed ecco ciò che vuol sapere e domanda: «Lei conosce quel prete che si chiama Donnino?». «Altroché», rispondo io, «Don Inno è il Parroco mio, della Parrocchia cioè dove io sono nato e cresciuto. Ma è lontano e al di là degli Appennini, in prossimità di La Spezia».
Il lettore capirà meglio, leggendo, che il malinteso proveniva dal fatto che il Capitano alludeva ad un prete piacentino che veniva considerato Cappellano dei Partigiani piacentini e si chiamava, come tuttora, Don Donnino, mentre il mio Parroco si chiamava Don Inno. Chiarito il malinteso dovetti rettificare ponendo un no al posto di un sì. Conoscevo bene Don Inno ma non Don Donnino.
«Accettiamo per buona e veritiera la sua risposta», disse l’ufficiale mantenendosi molto calmo, «ma a noi risulta che lei è in buona relazione con i Partigiani: è vero?».
«Buone relazioni?», rispondo io, «ma certamente! Le buone relazioni, grazie a Dio, le avevo, le ho ancora e le manterrò con tutti, tanto se Tedeschi o Italiani, partigiani o camicie nere. Quando poi si parla di buone relazioni tra Parroco e Parrocchiani allora, più che buone, devono essere ottime. Tanto più che il Vangelo dei Cristiani dice: “Amate… anche i nemici”. E quando si trattasse di salvare anime… allora non ci sono e non ci devono essere barriere».
I due tedeschi mi diedero l’impressione di essere restati soddisfatti delle mie risposte. Ma… il Capitano, già alla porta, si volse indietro e, tra il faceto e il serio, mi disse: «Salvare anime bono… ma non i corpi…!».
Partiti i due ufficiali, io, ubbidendo al richiamo della campanella, mi diressi al refettorio pensando e dicendo tra me: «Meno male! poteva andar peggio». Prima della recita dell’Angelus, pregammo come sempre, così: «Benedici, o Signore, il cibo, che, per Tua Bontà, stiamo per prendere, provvedine anche a chi non ne ha, e rendici partecipi della mensa celeste. Amen».
E poi ci sedemmo a tavola, non solo per nutrire il nostro fratello corpo, ma anche per trascorrere mezz’ora di conversazione fraterna. E gli avvenimenti, sempre più tristi, non mancavano davvero per dar materia alle nostre confabulazioni.
Stavo raccontando i particolari del mio indesiderato incontro coi Tedeschi quando suonò il campanello della porta d’ingresso.
Chi era? Un altro ufficiale tedesco. Il primo era venuto per dirmi di star lontano dai Partigiani; il secondo mi pregava di condurlo ai Partigiani e servirgli da mediatore.
Ecco di che si tratta: a Salsomaggiore vi era un presidio della «Brigata Nera» e un certo numero di Tedeschi addetti ai servizi. A costoro giunse voce che in mattinata una battaglia era stata combattuta a Pietra Nera tra i Partigiani di Salso e i fascisti venuti da Parma. Si parlava di parecchi morti e feriti tra i Tedeschi. Ecco il perché l’Ufficiale sanitario mi pregava di accompagnarlo sulla sua auto al posto della battaglia in qualità, lui e io, di parlamentari. Accettai e partimmo. Ma ora più che mai era indispensabile una bandiera bianca ad impedire che i Partigiani nascosti nei boschi dei due versanti del torrente Ghiara ci regalassero una sventagliata di mitra.
Mentre noi andiamo sul posto del disastro, il lettore legga quanto noi apprendiamo da «Parma partigiana».
«Il 12 ottobre 1944 un reparto della 31 Garibaldi investe, dalle sue postazioni presso Pietra Nera, un forte contingente di soldati tedeschi e fascisti spintisi lungo la rotabile proveniente da Salsomaggiore. Nel corso dell’azione di fuoco i Partigiani, con il tiro di un cc. da 47/32, centrano e distruggono un autocarro pieno di esplosivo. Ma una mitragliera da 20 mm nemica riesce a centrare le postazioni partigiane. Ed ecco un piccolo gruppo di guerriglieri portarsi occultamente sull’arma. Kira (Biolzi Adriano), bella figura di Partigiano, che aveva magistralmente diretto i primi colpi di cannone, fu il primo a slanciarsi per lo sbalzo allo scoperto, ma il fuoco della mitragliera arrestava nella morte il suo coraggioso assalto. Fu l’ultima raffica nemica, poiché gli altri guerriglieri erano già sopra l’arma e, sopraffatti i serventi tedeschi, la rivolsero contro il reparto nemico e lo misero in fuga».
A Pontegrosso P. Roberto Lecchini presenta, in una locanda, al Comando Partigiano l’Ufficiale sanitario tedesco venuto a parlamentare.
Si constata che le perdite fasciste furono: 7 morti tra i quali ben riconoscibile il Federale di Fidenza venuto con i suoi militi in aiuto ai militi di Salsomaggiore, 5 prigionieri e parecchi feriti.
I partigiani ebbero un morto, Kira (Biolzi Adriano).
Si riuscì ad ottenere l’assicurazione che: i prigionieri saranno trattati umanamente e scambiati alla prima occasione. Non si poteva conseguire di più.
Seguì quell’atmosfera apparentemente calma, ma in realtà carica di tensione che suole tener dietro ad ogni battaglia, tanto più se uguale a quella che si era combattuta in condizioni così singolari e che lasciava la via aperta ad una ridda di ipotesi l’una peggiore dell’altra.

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