Dal libro “Il primo cinquantennio” di Padre Roberto Lecchini

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Nei due primi anni di guerra Salsomaggiore non venne a trovarsi sotto il furore dei bombardamenti come tristemente accadde a Parma e Fidenza. Per allora non si lamentarono nemmeno scontri micidiali tra fascisti e Partigiani. Tutt’altro fu nei due ultimi anni di guerra quando tra figli della stessa Patria la battaglia si mantenne all’ordine del giorno e sempre più furibonda.
Il 24 ottobre 1944, giorno domenicale, esplose uno scontro sanguinoso fra i Repubblicani venuti da Parma e i Partigiani discesi dai monti piacentini. La battaglia si combatté sulle rive del torrente Stirone là sotto al castello di Vigoleno. La vittoria arrise ai Partigiani, mentre i Repubblicani lasciarono sul campo dieci morti e parecchi feriti. I Partigiani, cantando vittoria, ripresero la via dei monti portando seco i feriti del nemico e quei prigionieri che riuscirono a catturare.
I Repubblicani tornarono a Parma dopo avere incendiato una decina di case e cascine e dopo avere ucciso cinque del luogo, conducendo seco 35 abitanti, che poi rilasciarono perché riconosciuti estranei a quella battaglia.
I Repubblicani parmensi, per tramite delle autorità civili di Salsomaggiore,

pregano il Parroco di S. Antonio, cioè il sottoscritto, di recarsi al Comando dei Partigiani, raggiungibili probabilmente a Vigoleno, per chiedere la restituzione dei feriti e dei prigionieri. P. Roberto Lecchini, accompagnato dal suo coadiutore P. Cirillo Fornili e dal dr. Borsari, anche se già all’inizio della notte, parte per Vigoleno. Alla luce delle case e cascine incendiate dai fascisti, raggiungono il villaggio torrito. Del Comando cercato nessuna traccia. Gli abitanti del luogo gentilmente ci suggeriscono di ridiscendere a valle e, risalendo il corso del torrente, arrivare al paesino detto Trinità, dove sarebbe rintracciabile qualcuno dei Partigiani. Scendiamo, il che non è senza pericolo di venire scambiati per nemici da quei Partigiani che poco prima ci avevano regalato una scarica provvidenzialmente andata a buon fine. Allora sale con noi un Partigiano che, rimanendo sui pedali dell’auto, sventola la sua bandiera cantando: «Bandiera rossa la trionferà». Del Comando Partigiano nulla di nulla. Ci dicono che son fuggiti verso i monti. Per raggiungerli dobbiamo arrivare alla strada provinciale che, staccandosi dalla Via Emilia nei pressi di Alseno, conduce a Bardi. Coraggio e avanti! A notte inoltrata arriviamo a Vernasca. «Sì», ci dicono, «i Partigiani sono passati diretti al valico del Pellizzone. Lassù li incontrerete senza fallo».

Molto gentile, quella gente ci offre le castagne arrostite al fuoco e ci dà la buonanotte.
Avanti ancora! Ed eccoci al valico del Pellizzone.
Entriamo in quella specie di albergo scarsamente illuminato e salutiamo i Partigiani che ci accolgono amichevolmente e ci offrono da bere un bicchiere di vino che ci ristora. Alla richiesta dei feriti e prigionieri ci rispondono che sono stati trasferiti al Comando dei Partigiani piacentini situato sulle alture dei Prati Barberi a sud-est di Bettola e a sud-ovest di Morfasso.
È laggiù soltanto dove si decide quanto richiesto.
Non ci rimane che riprendere il cammino verso Salsomaggiore dove l’indomani si deciderà il da farsi.
Scendiamo a Bore e, per la via di Pellegrino Parmense, arriviamo a Salsomaggiore all’«Ave Maria» del mattino.
Scendendo dalla montagna al chiarore splendido delle stelle in un cielo così bello quando è bello, pensavo e dicevo a me stesso: «Che peccato non potere ammirare di giorno la bellezza di queste montagne!». E non avrei mai sognato che quel viaggio sarebbe stato il primo di una ventina di altri ritorni all’unico scopo di spegnere l’odio e portare la pace nel cuore dei figli della stessa madre, l’Italia.
Ogni tanto il silenzio dei monti veniva rotto da un «Altolà!» delle sentinelle di guardia alle quali ci si doveva presentare per dire chi eravamo e perché arrivati lassù.
All’«Ave Maria» della sera eravamo partiti da Salsomaggiore, e all’«Ave Maria» del mattino ritornavamo al luogo di partenza.
Il giorno seguente io, il medico e il conducente ritornammo al passo del Pellizzone donde quei Partigiani ivi di guardia ci caricarono sopra una lussuosa auto rapita due giorni prima ai Tedeschi sulla via Emilia. Ci condussero al Comando Piacentino. Bene accolti, pranzammo con loro, ed esponemmo quanto richiesto dai Repubblicani di Parma. Ci risposero che per il momento non era possibile. Poi si tratterà, tanto per i feriti come per i prigionieri. Guerra è guerra.
A noi non restava che ritornare sui nostri passi a mani vuote. Poi si seppe comunque che i feriti furono spontaneamente trasferiti all’ospedale di Parma e i prigionieri furono liberati a seguito di scambi vicendevoli.

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