Frate Pellegrino da Campagnola – Fra Pacetta (1896 – 1977)
PELLEGRINO MACCAGNANI era un Frate laico che i salsesi di una certa età ricordano come questuante per le vie della città, con un cesto in una mano e il Rosario nell’altra, ma la sua vita avventurosa e affascinante va ben al di là di queste pur rispettabili apparenze e merita di essere ricordata.
Padre Pellegrino nacque a Campagnola Emilia nel 1896 e, dopo una giovinezza assolutamente “normale”, a 20 anni venne arruolato e andò a combattere sulle Alpi altoatesine (siamo nella prima guerra mondiale).
Caduto prigioniero, fu condotto in Austria; di lì fuggì in Germania, poi in Polonia, poi in Russia (vi restò oltre tre anni) finché giunse a Vladivostock, nel Mare del Giappone, e di lì via mare iniziò il viaggio di ritorno che lo avrebbe riportato a casa.
A casa avrebbe potuto iniziare finalmente una vita serena e tranquilla, ma non fu così.
È chiaro infatti che uno come lui, che aveva girato mezzo mondo, conosciuto città e popoli diversi e soprattutto visto morire in un attimo tante persone, era consapevole del fatto che i giorni che gli restavano da vivere potevano essere tanti ma anche pochi e perciò sapeva di doverli spendere “al meglio”. Ma come? La scelta gli si presentava problematica se non addirittura angosciante: poi, attraverso il Terzo Ordine Francescano, si avvicinò alla religione, verso la quale per troppo tempo era stato indifferente.
In quell’ambiente conobbe la vita di Francesco da Caporosso, un cappuccino ligure recentemente canonizzato che era solito percorrere le vie di Genova con il Rosario in mano, una cesta per la questua e il sorriso sul volto.
Dopo aver ben meditato, decise: voleva essere come lui. E come lui è stato veramente, felice come la massaia che ha rinvenuto la moneta smarrita o come il mercante che, avendo trovato una perla di grande valore, tutto vende per acquistarla.

Ora aveva indovinato la sua strada ed era sereno: soprattutto aveva tanta pace nel cuore, che trapelava anche all’esterno. La gente quando lo incontrava gli chiedeva il perché di tanta serenità e si sentiva rispondere con un sorriso tra il mesto e il bonario: “Oh, la mia pace!
Di lì verrà il soprannome di fra Pacetta, deciso non si sa da chi, ma adottato rapidamente da tutti per indicare la prima caratteristica di una persona dalle tante virtù: umiltà, amore del prossimo, disponibilità all’ascolto e sempre pronto, in convento, ai lavori più onerosi.
La questua per lui era la via più diretta per stare tra la gente e “convertirla”, e la gente lo capì, come si vide il giorno del suo funerale, quando restarono in tanti a lungo in piedi e in silenzio a piangerlo, dentro e fuori la chiesa, perché non c’era posto per tutti.

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