Dal libro “Un popolo in festa e in cammino” di Don Luigi Guglielmoni, Clementina Corbellini, Giulia Urgeletti Tinarelli

Nel quartiere di Sant’Antonio, o meglio nella città di Salso, tra le tante vie e viuzze che, partendo da viale Matteotti (un tempo viale XX Settembre) si inerpicano sulla collina retrostante, una, in particolare, merita la nostra attenzione: è la via Trento.
Non che sia più bella, sontuosa o ampia delle altre che, anzi, se mai è vero il contrario: un tempo la chiamavano la “via dei sospiri” proprio per sottolineare le difficoltà che i proprietari di quelle abitazioni avevano incontrato nel costruirle.
Era – ed è – fatta di tante piccole case, affiancate l’una all’altra con a piano terra lo spazio appena sufficiente per un soggiorno, il corridoio e un cucinotto: in tutto 30 o 40 mq circa. Ai piani superiori erano le camere da letto, che in stagione termale venivano affittate agli ospiti. In cantina i più fortunati avevano il pozzo: l’acqua era salata e serviva per ricavarne il sale, bene prezioso e a quei tempi scarseggiante, che si vendeva facilmente o si scambiava con l’olio di oliva portato a spalla dalle donne della Liguria.
Ognuna di quelle case avrebbe una sua storia degna di essere menzionata, ma noi qui ne racconteremo solo tre e intendiamo, con ciò, rappresentarle tutte, non solo quelle delle famiglie di via Trento, ma anche di tutte o quasi le famiglie salsesi di quei tempi.

La famiglia Tibiletti
Il padre, Carlo, venuto da Varese nel 1898, al seguito dall’azienda che costruì il Grand Hotel des Thermes, aveva conosciuto Carolina, una bella giovane salsese e, sposatala, aveva “messo su” famiglia a Salso in via Trento, appunto.
Una famiglia normale, con tanta gioiosa serenità e tanta fiducia nella Provvidenza: i figli, senza contare i morti neonati, erano sei. Ma un brutto giorno accadde che la mamma si ammalò di polmonite. A quei tempi – eravamo nel 1915 – non esisteva certo la penicillina né alcun altro antibiotico e le cose andavano così: chi era molto robusto sopravviveva mentre gli altri morivano.
Un mattino mamma Carolina, sentendo prossima la morte, convocò al suo capezzale il marito, i figli, il parroco e qualche vicina di casa e parlò così: “Sento che me ne devo andare, ma non sono preoccupata, perché il Signore che ha voluto al mondo i miei figli saprà allevarli anche senza di me. Tu, Carlo, non risposarti, pensa a loro. E voi, vicine di casa, quando li vedrete scendere dalla via, rimandateli su, perché non diventino dei monelli“. Il suo funerale fu uno dei primi tra quelli che si svolsero nella chiesa di Sant’Antonio da poco inaugurata, e fu un momento di grande commozione.
I figli, cinque femmine e un maschio (la maggiore aveva 15 anni e la più piccola 2), crebbero allevati dal papà e dalle vicine di casa; vicine che a loro volta essi curarono quando divennero vecchie.
Si dice che povertà e dolore siano due grandi scuole per chi sa essere all’altezza di frequentarle e ciò fu vero nel nostro caso perché quei figli, pur senza la mamma, crebbero così bene che, un giorno, il capo del personale di una grande azienda, dopo averli conosciuti, disse che per la sua ditta avrebbe voluto assumere solo persone simili a loro.

La famiglia Tosini
Un’altra famiglia della via Trento, molto conosciuta in tutta Salso, fu la famiglia Tosini. Il papà Giovanni e la mamma Rosa Ghiozzi ebbero 4 figli, di cui una morì in tenera età.
La mamma era maestra elementare, famosa per le sue capacità didattiche unite a grande bontà d’animo. A quei tempi le maestre dovevano gestire scolaresche di 35-40 alunni; questo naturalmente toccava anche a mamma Rosa e ciò non la spaventava affatto, anzi… di solito si accollava i casi più difficili, quelli di bimbi portatori di handicap che lei sapeva trattare con occhio di mamma e un immancabile sorriso sulle labbra. Malgrado i suoi numerosi impegni, dentro e fuori casa, trovava anche il tempo da dedicare alla Parrocchia e al Signore. Essa fu per molti anni presidente delle donne di Azione Cattolica e lasciò in chi la conobbe un dolcissimo ricordo.
Anche i suoi figli e i suoi numerosi nipoti e pronipoti, sull’esempio suo e di suo marito, furono bravi cattolici nel mondo del lavoro e della scuola e alcuni anche insegnanti di religione.

La famiglia Cabrini
L’ultima famiglia della via Trento che vogliamo citare è quella del maresciallo Riccardo Cabrini, a quei tempi comandante dei Vigili Urbani di Salsomaggiore. Una famiglia come tante altre: due genitori, quattro figli, un po’ di povertà, ma anche tanta fede e onestà.
Noi li ricordiamo qui perché furono cattolici che si distinsero anche sul piano sociale.
Soprattutto il padre ebbe grande amore per la sua città e si fece stimare da tutti per la serietà con la quale svolgeva il proprio lavoro. Ogni giorno percorreva, a bordo della sua bicicletta, tutte le vie di Salso per controllare che non vi fossero situazioni irregolari; il suo lavoro durava ben più di quanto fissato nel contratto…
Persino la sera, dopo cena, il maresciallo inforcava la sua bicicletta e andava a sorvegliare il lavoro dei Vigili che, a quei tempi, si alternavano anche in turni serali.
Scherzando diceva ai figli: “Bambini, vado a salutare il leone...” e andava nel Parco Regina Margherita (oggi Parco Mazzini) a vedere che tutto fosse tranquillo. Nel parco il leone c’era davvero: si chiamava Negus e stava in uno zoo, che ospitava anche altre bestie feroci, di proprietà di Angelo Lombardi (noto come l’“Amico degli animali“). Sera dopo sera, l’animale aveva imparato a riconoscere il maresciallo e al suo saluto rispondeva con un ruggito.
Utilizzando i poteri che la sua carica gli conferiva, il maresciallo Cabrini aiutò molte famiglie povere. Va detto, per la verità, che in ciò era coadiuvato e sostenuto dalla moglie Emma, una santa donna, che era solita pregare tanto e aiutare tutti i bambini della via che vedeva bisognosi di cure e di affetto e tra questi, in primis, quelli della famiglia Tibiletti che abitavano proprio di fronte a lei e che, come si è detto, erano rimasti orfani in tenera età.

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