Dal libro “Il primo cinquantennio” di Padre Roberto Lecchini

I confratelli defunti nel cinquantennio a Salsomaggiore
Laudato si, mio signore,

per sora nostra morte corporale,
da la quale nullo omo vivente
po’ scampare
(Cantico delle Creature
Di San Francesco)

Frate Vittore Conti da Zeri
Fu un religioso mirabile per la devozione, la sem­plicità e grandissima carità. Per 24anni custode dell’Oratorio del Sacro Cuore in Salso­maggiore, morì nel con­vento di Reggio Emilia il 12/10/1952.

Frate Benigno Tonelli
Fu un Cappuccino laico questuante molto conosciuto e venerato in tutta la Diocesi di Fiden­za per la sua devozione e dolcezza. Fu propagatore della Pratica dell’Opera in suffragio delle anime del Purgatorio e dell’altra in fa­vore dell’Opera S. Infanzia. Morì il 17 Gennaio 1933. Poichè  trascorse la sua vita non solo a beneficio del convento di Fidenza, ma an­che a quello di Salsomaggio­re, i suoi funerali si svolsero, tanto a Fidenza come a Sal­somaggiore con solennità di eccezione, proprio come il defunto meritava.

Padre Venceslao

Pur con ritardo, dovuto alla mancata uscita del nostro gior­nalino, ma dopo aver a suo tempo suffragata con officio funebre nella chiesa di Sant’Antonio la di lui benedetta anima, vogliamo ora ricordare la soave figura di P. Venceslao Lusetti da Reggio Emilia, che il 4 aprile 1956 ci ha lasciati per sempre. Il ricordo è doveroso perché parecchi anni della sua santa e operosa vita religiosa egli li ha trascorsi tra noi prodigandosi instancabile al confessionale e alla cura della sacrestia di S. Antonio.
Preghiamo tutti i parrocchiani di Sant’Antonio, e specialmente quei moltissimi che hanno avuto la fortuna di beneficiare della sua preziosa opera sacerdotale, di ricordarlo nelle loro preghiere.

P. Bentivoglio Campioli
Partecipò alla guerra di Tripolitania (1912) e alla guerra mondiale (1915). La maggior parte del suo sacerdozio la passò a Salsomaggiore. Morì all’ospedale di Parma il 15/5/1955, e l’imponente funerale fu espressione della sua grande stima.

Ida Berzieri n. 1893 – m. 1974
Tra i molti benefattori della «Casa di Riposo Sacra Famiglia» merita il primo posto Ida Berzieri la quale, mentre il parroco stava percorrendo inutilmente mezza Italia con la speranza di incontrarsi con un Istituto religioso in grado di concedere due o tre suore per portare assistenza materiale e spirituale nella casa dei nostri Anziani, diede una prova di generosità quasi eroica mettendo se stessa e quanto possedeva al servizio dei primi ospiti, che ben presto avevano riempito la casa. Tutto a posto in cucina, in refettorio, dormitorio e sala di soggiorno. E ciò che non doveva assolutamente mancare erano la concordia e la pace. Nella cappella la messa ogni mattina e non doveva mancare il santo rosario prima del pranzo. Però ognuno era libero di partecipare o no. La Signorina Ida, che già in precedenza aveva intestato ai suoi morti tre letti nella «Casa di Riposo», volle assumersi la spesa di lire 60.000 per la costruzione di due grandi armadi nei dormitori. E ciò era ben poco di fronte alla propria casa lasciata con regolare testamento a beneficio dei vecchi. E fu così che con la casa, venduta, si poté impegnare il prezzo necessario a completare la parte nordica della «Casa di Riposo» come da disegno dell’Architetto Gandolfi. A lei la gratitudine e l’ammirazione di Salsomaggiore per sempre.

Suor Vincenzina Mora n. 1893 – m. 1977
Fu una fortuna per la Parrocchia di S. Antonio possederla fino dal proprio inizio. Vederla e ascoltarla era come vedere un angelo incarnato in una suora. Il sottoscritto, che fu suo direttore spirituale per oltre 15 anni, in ogni sua iniziativa, le dicevo: «bisogna pregare che il tutto vada bene» ed essa pregava come se l’iniziativa fosse anche sua. Io ed altri attribuivamo alle preghiere di lei se il tutto veniva condotto a buon porto, nonostante le opposizioni di chi pensava diversamente da noi. Sintetizziamo la sua biografia nelle parole che furono scritte nei ricordini del suo funerale che qui trascriviamo. Sbocciata nel vigilato giardino di una famiglia, che coraggiosamente professa e generosamente vive il cristianesimo, la sua fanciullezza raggiunge chiarori angelicali. A otto anni, nella sua prima Comunione a cui s’è preparata con tre giorni di raccoglimento nel silenzio assoluto, percepisce per la prima volta la chiamata di Cristo. È la vocazione religiosa, che, sempre meglio illuminata alla luce di alta spiritualità acquisita in un collegio di monache Benedettine, la introduce, a 19 anni, tra le Figlie della Carità di S. Vincenzo de’ Paoli. Di 64 anni di vita consacrata 58 ne trascorre presso l’«Opera Pia Catena» di Salsomaggiore, dove, nella serena semplicità delle Beatitudini Evangeliche, vive l’epopea dei Santi. Mentre il suo fragile corpo geme sotto l’implacabile logorio di un male che non ha nome, l’anima sorride nel dono lieto di un unico amore che la unisce a Dio e ai fratelli. Dio ne ha gloria; i fratelli ne traggono conforto ed ammonimento. Al popolo, ai reggitori di Salsomaggiore e a quanti da ogni terra qui convengono in cerca di terapeutici sollievi o di mondane distrazioni Sr. Vincenza ricorda che, molto al di sopra dei valori del tempo e della materia, restano, intangibili, i valori dello spirito.

Frate Pellegrino
Durante i funerali, veramente imponenti, che il 2 febbraio Salsomaggiore ha tributato a frate Pellegrino Maccagnani, popolarmente detto «Fra’ Pacetta», ho avuto il piacere di dire davanti alla sua bara parole che mi uscivano dal cuore. Ed ora, altrettanto volentieri, esprimo gli stessi pensieri per i cari lettori di queste pagine.
… Nato il 3 febbraio 1896 a Campagnola Emilia, vi trascorse l’infanzia e l’adolescenza senza nulla di eccezionale a distinguerlo da qualsiasi ragazzo di tipica famiglia operaia. Aveva quasi vent’anni quando venne la prima guerra mondiale a trascinarlo là sulle Alpi italo-austriache dove si uccideva e dove si moriva.

Ed è lassù che nel libro della sua vita si aprono pagine da romanzo giallo, se non proprio da odissea. Caduto prigioniero, viene convogliato in Austria, donde fugge in Germania, per scappare poi in Polonia e raggiungere in seguito la Russia. È un soggiorno di quasi tre anni sulle rive del Volga… Finalmente gli riesce d’intrupparsi in un contingente di soldati stranieri diretti a Vladivostok, sul Mare del Giappone. È di là che avrà inizio il viaggio di ritorno in patria e nella famiglia.
Dovrebbe iniziare finalmente una vita come tante altre, sui binari della normalità. Ma il giovane Maccagnani non è contento. Avverte nel fondo dell’anima un vuoto misterioso che sempre più si estende e si approfondisce, un vuoto che nessuna cosa al mondo sembra poter riempire… È allora che percepisce il bisogno di avvicinarsi alla religione, verso la quale da troppo tempo s’era mantenuto indifferente. Invitato da qualche amico, avvicina l’ambiente francescano che, presso il convento dei cappuccini di Reggio, raccoglie nel Terz’Ordine un bel numero di giovani, diretti da P. Domenico Manfredini. Ed è proprio P. Domenico, a cui il giovane Maccagnani confida il proprio travaglio spirituale, ad offrirgli come lettura orientatrice la biografia del cappuccino Francesco da Camporosso, recentemente canonizzato. È una rivelazione! La dolcissima figura del fraticello ligure, che passa per le vie affollate della grande Genova con la corona del Rosario in mano e il sorriso angelico, lo affascina. Ha trovato! Ha deciso! Quella sarà la sua vita.
Entra nel convento di Noviziato a Fidenza nell’agosto del 1929. Emette la professione dei voti religiosi nel febbraio del 1931. Ha indovinato la sua strada ed è felice. Quanta pace nel fondo della sua anima dopo tante tempeste! Si sente davvero sulla rotta giusta per l’approdo supremo. Anche perché la vita dei cappuccini gli si rivela tanto connaturale col suo temperamento. Di tale sicurezza e pace interiore è immediata espressione quel sorriso bonario sempre sul suo labbro e quello sguardo tranquillo e sereno che gli attirano le simpatie di quanti lo avvicinano. Con quel saio marrone e con quella sporticina di vimini che sa d’antichità cenobitica, va avanti per le strade del mondo sicuro che nessuna porta gli sarà chiusa.
Tutto ciò potrebbe facilitargli momentaneamente le simpatie di chi lo avvicina per le prime volte, ma non gli garantirebbe un successo definitivo se sopra quel fondo di attrattive umane non ci fosse una solida costruzione collegata dalla Grazia e sostanziata di autentiche virtù cristiane.
Sto alludendo alla sua ricchezza spirituale che è appunto Grazia, la cui prima espressione non può che essere la fede. Una fede luminosa, semplice e indiscutibile, che gli dona certezza di aver scelto bene quando ha scelto Dio. Né crisi, né dubbi, né ripensamenti. Sa di essere sulla via del Paradiso, e non ha tempo né motivo d’invidiare le gioie di un mondo gaudente e spensierato accanto al quale passa e, con un sorriso tra il mesto e il bonario, dice, guardando il cielo: «Oh, la mia pace!».
La sua Fede trova nella preghiera la sua più immediata e logica espressione. Egli prega non soltanto nelle prime ore del mattino scendendo in coro per la recita delle orazioni liturgiche e la S. Messa e la Comunione, ma vi ritorna spesso durante la giornata. Si può anzi dire che, in questi ultimi tempi, il coro era l’abituale soggiorno ove rintracciarlo.
Fede e preghiera, dunque, un binomio che dà un’anima e un soprannaturale a tutta la vita di Frate Pellegrino, che si esplica nell’adempimento fedele delle diverse mansioni assegnategli dai superiori. Se la questua per la comunità conventuale o parrocchiale sembra la mansione a lui più congeniale e più proficua, anche agli effetti di un apostolato spicciolo in ambienti piuttosto refrattari al «Verbo» di Dio, non è in quella che si esaurisce la sua attività. C’è pure la chiesa, la sagrestia, le molteplici necessità del convento che l’occupano in continuità. E qui è doveroso sottolineare che F. Pellegrino ha un senso straordinario di adattabilità che lo rende disponibile ad ogni ordine o desiderio dei suoi superiori e, perciò, tanto prezioso e desiderato nei vari conventi. Anche in questi ultimi tempi bastava una telefonata del P. Provinciale perché lui immediatamente accorresse al capezzale di un confratello gravemente ammalato all’ospedale, all’infermeria provinciale o in qualsiasi convento. E sempre ilare, servizievole, paziente restava là dove il bisogno richiedeva l’opera sua. Fu forse in queste particolari forme di siervizio fraterno che si manifestarono i tesori della sua anima bella e generosa.
Se è vero che la fede orante è l’anima di tutta la dinamica benefica dello Scomparso, ciò che invece ne forma la caratteristica è la pratica delle due beatitudini evangeliche: «Beati i mansueti…», «Beati i pacifici…». La mansuetudine e la pace, che dipendono dalla carità come il frutto da fiore, sono le virtù che, facilitate anche da un temperamento invidiabile, rendono il fratello amabile e simpatico a chiunque entra a contatto con lui, anche se trattasi di persone lontane dal credo e dalla pratica religiosa. A Salsomaggiore tutti lo chiamano «Fra’ Pacetta» perché lui parla sempre di pace e nessuno mai lo vede conturbato. A chi lo stuzzica, lo deride o — casi rarissimi — lo insulta, risponde: «Io me ne vado con la mia bella pace!».
Andar d’accordo con tutti è il suo programma. E c’è riuscito. La folla grande che sfilò davanti alla sua salma e che poi partecipò ai suoi funerali lo dimostrò.
Al richiamo di Sorella Morte serenamente è partito sapendo di andare alla casa del Padre. Un rimpianto mesto ci pesa nel cuore. E intanto il deserto si allarga intorno a noi mentre le cose belle e le persone care se ne vanno ad una ad una.

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